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bruscamente la pistola nella cintura, disse, cercando di sorridere, ma senza riuscirvi:
— Noi siamo pazzi per minacciarci in questo momento, in cui abbiamo bisogno di andare d’accordo per far fronte forse a nuovi pericoli. Orsù, giù le armi, e galoppiamo verso il Chilì.
— Non domando di meglio, signor agente del Governo, — rispose il mastro. — Non se ne parli più di questa brutta questione, e pensiamo a salvare la nostra pelle.
— Al galoppo! — gridò Cardozo, eccitando il proprio cavallo.
I fuggiaschi ripresero la corsa, seguendo il sentieruzzo aperto fra i cactus e i cespugli spinosi, il quale si spingeva verso l’ovest, ossia in direzione della frontiera cilena, che era però ancora lontanissima. Un secondo incidente, forse più pericoloso del primo, venne ad interrompere nuovamente quella precipitosa fuga.
Stavano salendo una leggera altura, quando udirono improvvisamente uno strano fischio, seguìto poco dopo da un sordo rumore, che pareva prodotto da un cavallo galoppante sulla erbosa pianura.
Il mastro, che procedeva cogli occhi bene aperti e cogli orecchi ben tesi, arrestò di colpo il proprio cavallo, lanciando all’intorno uno sguardo sospettoso.
Non vide nulla, essendo i cespugli piuttosto alti, e non udì nessun rumore, per quanto tendesse gli orecchi e si curvasse contro terra.
— Che mi sia ingannato? — mormorò, mentre Cardozo si inoltrava in mezzo ai cactus per osservare la pianura dalla parte opposta.
Inquietissimo, discese di sella e appoggiò l’orecchio contro il suolo; ma non gli pervenne alcun rumore.
— Vedi nulla, Cardozo? — chiese.
— Affatto nulla, — rispose il ragazzo, che si rizzava sulle staffe per abbracciare maggior spazio.
— E voi, signor Calderon?
L’agente del Governo, che era ricaduto nel suo mutismo, fece col capo un cenno negativo.