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che sembrava un trombone. Il cavaliere si spinse fin presso la riva e guardò attentamente all’opposta parte, cercando senza dubbio di discernere i Patagoni, che si tenevano celati fra le piante.

Ad un tratto un sibilo acuto si fece udire in aria, e una palla lucente, un vero bola, attraversò il fiume, cadendo fra i cespugli occupati dai guerrieri. S’intese una specie di grugnito, che pareva emesso da Hauka, poi alcuni bolas partirono.

Il cavallo del gaucho fece un salto, come se fosse stato colpito, poi ripartì di carriera, seguendo la riva destra del fiume, e scomparve verso l’est.

— È Ramon — disse il mastro.

— Sì, sì, l’ho riconosciuto, — confermò Cardozo. — Ah! E non poter fargli alcun segno!

— Sa egualmente che noi siamo qui, ragazzo mio, poichè continua a seguirci.

— Ritornerà.

— Passerà il fiume alcune miglia più in giù, e poi si rimetterà sulle nostre tracce.

— Credi adunque che ignori la presenza degli Argentini che stiamo per assalire?

— Sì, poichè non avrebbe mancato di dare l’allarme collo sparare il suo trombone.

— Meglio così.

Cardozo stava per alzarsi quando si sentì appoggiare una mano sulla spalla. Si volse e si trovò faccia a faccia con Hauka, il quale dardeggiava su di lui due occhi infiammati.

— Figlio della luna, — disse con accento duro — conosci tu quel cavaliere?

— E tu? — chiese a sua volta Cardozo prontamente.

— È un nemico.

— Lo suppongo anch’io.

— Tu e il tuo compagno lo dovete conoscere.

— T’inganni, capo, — disse il mastro.

— Hauka ha lo sguardo del serpente.

— E cosa vuoi concludere?