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XXIII.

Il cavaliere della notte.


L

’attacco improvviso e irresistibile di tutti quegli animali furiosi aveva causato ai Patagoni perdite considerevolissime.

Più di mezzi i cavalli che non erano stati capaci di spezzare i legami, giacevano a terra in una confusione inenarrabile, ridotti in uno stato veramente deplorevole, coi petti squarciati, dai quali uscivano, insieme cogl’intestini, veri torrenti di sangue; alcuni rantolavano, dibattendosi disperatamente fra le strette dell’agonia, altri si trascinavano attraverso le erbe, mandando nitriti dolorosi.

Sette od otto uomini, senza dubbio i primi che avevano affrontato la valanga vivente, erano distesi fra le erbe, schiacciati, sventrati, sanguinolenti, senza vita, e altrettanti gemevano qua e là, invocando l’aiuto dei compagni.

Hauka, come il mastro aveva predetto, era furioso per lo scacco subìto. Andava e veniva, bestemmiando contro lo sconosciuto cavaliere che lo aveva assalito in quella strana guisa, rimproverava aspramente i suoi uomini, chè avevano abbandonato il campo, lasciando i cavalli senza difesa, e si scagliava anche contro i figli della luna, che avevano seguìto il cattivo esempio. Vedendo il mastro ed il mozzo, mosse loro incontro coi pugni chiusi e gli occhi accesi, gridando:

— Anche voi adunque siete femminucce? Dov’è la vostra po-