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ravano calci, s’impennavano tentando di rovesciare i cavalieri, che non parevano meno spaventati e che mandavano grida di vero terrore.
In mezzo alla onde sollevate dai destrieri si vedevano apparire e scomparire dei lunghi corpi nerastri, che somigliavano a grosse anguille, le quali pareva si accanissero contro i disturbatori della quiete acquatica.
— Tuoni e lampi! — esclamò il mastro impallidendo.
— Cosa succede? — chiese Cardozo, che dava furiose speronate al cavallo e che stringeva fortemente le ginocchia per non venire buttato giù.
— I gimnoti! Sprona, Cardozo, sprona!
Il ragazzo stava per obbedire, quando ricevette un colpo che parve una vigorosa scarica elettrica. Il suo cavallo emise un nitrito di dolore e fece uno scarto violento, piegandosi poscia sulle gambe, come se le forze gli fossero venute meno.
— Cardozo! — esclamò il mastro.
Il povero ragazzo, intontito da quella strana scossa, che non sapeva ancora a chi attribuire, perdette l’equilibrio e cadde di sella; ma il mastro, che gli era vicino, fu pronto ad afferrarlo per la cintola e a trarlo sul proprio cavallo.
— Cardozo, figlio mio, — esclamò.
— Non spaventarti, marinajo, — rispose il giovanetto, che ebbe la forza d’animo di sorridere. — Ho perduto le forze: ecco tutto.
— Cerca di tenerti aggrappato a me.
Poi cacciò gli sproni nel ventre del cavallo, che si mise a balzare innanzi, tagliando la corrente obliquamente. Il bravo marinajo, sempre spronando e eccitando il destriero colle briglie e colla voce, evitò i cavalli dei Patagoni, che si dibattevano furiosamente in mezzo al fiume, scavalcando i cavalieri, correndo all’impazzata per ogni dove, cadendo e risollevandosi, e raggiunse la riva opposta.
Cardozo, rimessosi dalla scossa ricevuta, fu pronto a lasciarsi scivolare a terra.
Parecchi cavalli erano già arrivati, ma quasi tutti privi di cavalieri, e giacevano distesi in mezzo