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Tutto il campo si era messo in movimento dietro agli sfortunati prigionieri: guerrieri, donne e ragazzi, chi a cavallo, chi a piedi, correvano tutti verso il Rio, mandando grida feroci. Il sole si alzava fiammeggiante sulle sterminate pianure del levante, quando i Patagoni giunsero sulla riva del Rio Negro, in un luogo dove descriveva una grande curva.
Cardozo e il mastro, che, malgrado si fosse maggiormente radicata in loro la speranza di venire salvati, cominciavano a diventare terribilmente inquieti, furono sbarazzati dai legami e buttati ruvidamente al suolo.
— Hai coraggio, figliuol mio? — chiese il mastro, che impallidiva a poco a poco.
— Lo credo, — rispose il ragazzo con voce abbastanza ferma.
— Non mostriamo a questi dannati pagani di aver paura: d’altronde la morte sarà rapida, se è destinato che dobbiamo morire.
— Guarda!
Il mastro si alzò sulle ginocchia e guardò. Alcuni Patagoni si erano avvicinati ad una roccia tagliata a picco sul fiume e stavano gettando in acqua dei pezzi di carne sanguinolenta.
— Cosa fanno? — chiese Cardozo.
— Aizzano i mondongueros. I piccoli mostri accorreranno ben presto a migliaia a disputarsi quei pezzetti di carne, e quando, inferociti, cominceranno a mangiarsi fra di loro, com’è loro abitudine, i Patagoni ci lanceranno in acqua.
— Scellerati! Ah se avessi la mia carabina!
— Sterili rimpianti, ragazzo mio! Orsù, mostriamoci uomini!
Alcuni guerrieri si erano avvicinati ai due disgraziati, che si sentirono sollevare e portare proprio sulla roccia. Due lunghi lazos furono passati sotto le loro ascelle, onde impedire a loro di salvarsi a nuoto sulla sponda opposta, nel caso che riuscissero a liberarsi dai legami o che venissero sciolti dagli acuti denti dei mondongueros.
Cardozo e il mastro, pallidi non ostante il loro coraggio, cogli occhi stravolti, i capelli ritti, la fronte bagnata di