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— Ma che! Divorano anche la carne e con tal furore che in dieci minuti ti riducono un uomo allo stato di scheletro pulito a tal punto da non lasciare neanche un pezzetto di pelle, nemmeno il più piccolo tendine.

— Sicché noi verremo mangiati vivi, — disse Cardozo, diventando pallido.

— A meno che qualcuno venga in nostro soccorso.

— Conti su qualcuno?

— Non conto che su un miracolo.

— Hum! I miracoli sono rari al giorno d’oggi, marinajo.

— Lo so! Dannati Patagoni! C’è da diventare matti a pensare a quale orribile supplizio ci hanno destinati questi feroci selvaggi. Mangiati dai pesci! Fossero almeno pesci di mare, ma no: da pesci di fiume!

Poi, come se avesse esalata tutta la sua collera in quelle parole, il degno mastro si lasciò cadere a terra e non parlò più. Cardozo, quantunque non meno atterrito del compagno, si mise invece a guardare attentamente l’accampamento e i sei guerrieri che erano stati posti a guardia. Il bravo ragazzo ruminava nel suo cervello un ardito tentativo di fuga. Ben presto, fingendo di aver sonno, si rovesciò sul dorso, mettendosi però le mani di dietro, e si mise lentamente, ma tenacemente, a tirare le corregge che lo legavano, allungandosi più che poteva per diventare più esile.

È vero che anche libero aveva da lottare contro i sei guerrieri; ma egli calcolava assai sulle proprie gambe e soprattutto sui cavalli che pascolavano a pochi passi di distanza, già insellati, pronti per la partenza.

A forza di unghie e sempre tenendo gli occhi sui guerrieri, a poco a poco riuscì a sciogliere un nodo, poi un secondo e quindi un terzo, liberando così una gamba. Stava per avvertire il mastro della buona riuscita, quando vide i guerrieri del campo uscire dalle tende in pieno assetto di guerra.

Ad oriente una luce biancastra cominciava a spuntare, facendo impallidire la luce degli astri: il sole stava per comparire.

Cardozo lanciò una sorda imprecazione. Il mastro, sve-