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vero manicaretto pei palati patagoni.
Da ultimo mostrò una bottiglia piena di aguardiente, una specie di acquavite di provenienza spagnola, trovata forse nella dispensa di qualche nave naufragata su quelle coste e serbata con grande cura per le occasioni eccezionali.
Il signor Calderon, che moriva di fame, poichè da due giorni non toccava cibo, si gettò avidamente sui bulbi, sulle radici e sulle patate selvatiche e bevette un buon litro di sangue caldo, malgrado fosse orribilmente salato.
Un abbondante sorso di aguardiente, che gli restituì prontamente le forze, pose fine a quello strano pranzo.
Il capo, che aveva assistito a quella scorpacciata con visibile soddisfazione, quando vide che il figlio della luna aveva terminato, gli offrì una pipa di legno colla cannuccia d’argento, carica d’un eccellente tabacco, detto golk, che il signor Calderon si affrettò ad accendere, servendosi del suo acciarino, quantunque il previdente patagone gli avesse presentato il suo unitamente ad un certo fungo che si raccoglie ai piedi delle Ande e che, ben seccato, serve di esca.
— Siedi, capo, — disse il figlio della luna, dopo di aver aspirato alcune boccate, — e se vuoi, discorriamo un poco.
Il patagone ubbidì, sedendosi colle gambe incrociate, alla moda dei turchi.
— Dove sono disceso? — chiese l’agente del Governo.
— Presso il Rio Negro.
— Dove vai?
— Dove vorrà il figlio della luna.
— Credi che io rimanga con te?
— Giacchè sei venuto da me, vi resterai: così vuole la mia tribù.
Il signor Calderon non potè rattenere un gesto d’impazienza e di dispetto.
— E se io volessi andarmene? — chiese.
— Te lo proibirei.
— Anche se tornasse la luna a prendermi?
— Terrei con me anche la luna e la farei vedere ai miei compatrioti del Sud.