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Era di forma quadrilunga, come sono per lo più le toldos dei patagoni, lunga oltre quattro metri, larga tre e alta due e mezzo sul dinanzi e solamente due sul di dietro, onde lasciar scorrere la pioggia. L’ossatura era composta di piccoli bastoni lunghi nove o dieci centimetri, sostenuti da pertiche più lunghe, il rimanente era di pelli di guanaco cucite e dipinte con una miscela di grasso e di terra rossa. Tutto il mobilio consisteva in qualche cuscino sdruscito, in alcune coperte araucane, in qualche ponchos, in uno spiedo, una pentola di ferro ed alcuni gusci di armadillos,1 che servivano di recipienti.

— Per Bacco! — mormorò il signor Calderon. — Non mancava che quest’avventura. Eccomi diventato anche il figlio della luna! Mi lasciassero almeno, questi stupidi selvaggi, andare in cerca di quei due dannati marinai! Oh! Ma il tesoro non andrà perduto!

Si sedette su di un mucchio di coperte e parve s’immergesse in profondi pensieri.

La ricomparsa del capo lo strappò bruscamente dalle sue riflessioni.

— Eccomi, o figlio della luna! — disse il capo, entrando. — Hauka porta dei viveri eccellenti.

— Sei tu che porti questo nome? — chiese l’agente del Governo.

— L’hai detto.

Prese dalle mani di un indiano un voluminoso sacco e lo vuotò dinanzi al signor Calderon. Conteneva gran copia di vegetali, radici, bulbi, patate selvatiche, certi spinaci e dei pezzi di gomma del bolax glebaria, di cui i patagoni sono molto ghiotti e che dicesi mantenga i denti bianchi.

Quindi depose a terra parecchi gusci di armadillo, contenenti alcuni del sangue ancora caldo, altri della midolla di ossa di guanaco sciolta nel grasso e infine una specie di piatto di ferro contenente un cuore di guanaco crudo, un

  1. Piccoli rosicchianti difesi da una corazza ossea.