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non si erano lanciati dietro al pallone lo precedevano, gettando assordanti grida e facendo volteggiare in segno di giubilo le lance e i bolas.

Le donne e i fanciulli della tribù, che avevano assistito a quella caduta straordinaria del preteso figlio della luna, mossero tutti incontro al corteo urlando e danzando; ma il capo con un gesto energico intimò a tutti il silenzio, e condusse l’ospite in una vasta tenda, che era la più bella di tutte quelle esistenti nel campo.

Il signor Calderon, che pareva ormai rassicurato circa la sua sorte, lo seguì senza esitare, limitandosi per ora a guardare attentamente il capo indiano e tutti quelli che lo circondavano. Quando si vide sotto la tenda in presenza del solo capo, un leggero pallore si diffuse sul suo viso già abbastanza pallido, e aggrottò la fronte.

— Capo, — disse bruscamente, — cosa desideri da me? Quali intenzioni hai tu?

L’indiano lo guardò con sorpresa, come se non comprendesse il senso di quelle interrogazioni, poi rispose:

— È la tenda tua: sei l’ospite gradito del capo dei Tehulls.

Poi fece atto di uscire; ma il signor Calderon con un gesto lo trattenne.

— Parliamo, — disse.

— Il figlio della luna non ha fame adunque? — chiese il patagone.

— Hai ragione: sono a digiuno da due giorni.

— La luna non dà viveri ai suoi figli?

— Aveva troppa fretta di scendere, — disse l’agente del Governo con un lieve sorriso.

— Hauka però non ha fretta e darà da mangiare al figlio del cielo.

Il bravo capo uscì, dopo di aver lasciato cadere la tenda di pelle che chiudeva il toldo, onde gli sguardi dei curiosi non disturbassero il signor Calderon.

Questi, rimasto solo, si mise a osservare con vivo interesse la tenda, che poteva diventare anche la sua prigione.