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capo portava il kotchi, specie di fascia bianca che cinge la fronte, e agli orecchi dei pesantissimi pendenti d’argento quadrati e assai barocchi.

— L’ora è giunta, o donna, — le disse il capo, che si manteneva ritto accanto al cavallo. — La pittura è completa?

— Idisciè non domanda che di diventare un piccolo guerriero, — rispose la donna.

— Conducilo adunque.

La donna rientrò nella tenda e poco dopo usciva, conducendo con sé un ragazzo di quattro anni, ma che per la statura ne dimostrava otto, vestito come il capo, ma orribilmente dipinto di rosso, di nero e di bianco. Il suo viso sembrava una maschera ributtante: aveva la parte inferiore compresa fra gli occhi e la bocca dipinta in rosso, sotto le palpebre inferiori portava due mezzelune nere, lucenti, grosse quanto un dito, e sopra gli occhi altre due mezzelune bianche.

Il capo contemplò con un certo orgoglio il ragazzetto, poi lo prese e lo sdraiò sul cavallo, mentre alcuni guerrieri battevano furiosamente certi tamburi di pelle e suonavano disperatamente certi flauti formati di ossa, che si avrebbe giurato essere tibie di gambe umane.

Prese un osso acuminato e sottile che la donna gli porgeva e, dopo d’aver tracciato in aria parecchi segni bizzarri e di aver mormorato alcune parole misteriose, con un colpo rapido traforò gli orecchi del ragazzetto, cacciando dentro i fori due piccoli pezzi di metallo destinati a conservare e ingrandire l’apertura praticata.

Compiuta quella specie di battesimo, senza che il ragazzetto avesse dato segno del minimo dolore, il capo si volse verso sei guerrieri, che parevano i più valorosi della tribù, a giudicarli dalle numerose cicatrici che coprivano i loro corpi, e collo stesso osso acuminato punse a tutti la prima falange del dito indice, facendo uscire alcune gocce di sangue, che gettò a terra, esclamando:

— A Vitamentru e a Gualisciù!