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Capitolo Decimo.
Il Golfo del Messico.
Se quel breve, ma terribile combattimento, era costato alla piccola nave da guerra un terzo del suo equipaggio, anche i negrieri non potevano certo rallegrarsi molto.
Di trentadue uomini, nove giacevano spenti sul ponte insanguinato della nave, chi attraversati dalle baionette dei soldati o uccisi dalla prima scarica; altri sette erano istati trasportati nell’infermeria coperti di ferite, e due fra essi parevano in istato disperato. Dei ventitrè inglesi, invece, neppur uno era sopravvissuto, e giacevano uno sull’altro attorno all’albero di trinchetto, orribilmente squarciati dalle scuri o dalle sciabole d’abbordaggio dei negrieri, o sfracellati dalla pesante sbarra di ferro dell’erculeo Mumbai.
Due veri torrenti di sangue sfuggivano dal disotto di quell’ammasso di cadaveri, e raccogliendosi lungo le murate di babordo e di tribordo, si riversavano in mare attraverso gli ombrinali.
— Lampi e tuoni! — esclamò Nunez crollando il capo. — La vittoria l’abbiamo pagata un po’ cara, a quanto pare. È vero che tutti quei miscredenti d’oltre-oceano sono andati a tenere compagnia a loro compare Belzebù. Bisognerà rifornirsi in qualche porto messicano, o se m’imbatto ancora in quella dannata goletta, lo pagherò io questa volta il conto.