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76 | parte i. — l’albatros. |
fracassava teste e sfondava costole ad ogni colpo che calava, gridando con quel suo vocione che si udiva a un miglio di distanza:
— Sgombrate, canaglie!... Ah! Voi siete curiosi? Prendete!... Sono busse che pesano ma vi fanno star bene per sempre!... —
Tutti gli altri si dibattevano con pari accanimento, respingendosi e urtandosi, afferrandosi e rovesciandosi e maneggiando furiosamente le scuri, le sciabole e i coltelli.
Gl’Inglesi, oppressi dal numero, privi del loro comandante, già decimati fino dalla prima scarica e in parte male armati, cadevano a due, a tre alla volta.
Non ne restavano in piedi che sei o sette, quando si udì Mumbai gridare:
— La goletta!... —
Nunez abbattè un soldato che cercava di fracassargli il cranio col calcio del fucile, s’aprì il passo fra l’onda dei combattenti e si slanciò sul cassero seguìto dal mastro e da alcuni uomini.
La goletta non era che a dugento metri.
Sul capo di banda di tribordo e sul castello di prua si erano radunati i marinai, frementi di rabbia, assetati di vendetta, pronti a slanciarsi all’abbordaggio.
Alcuni uomini avevano trascinato il cannone di prua sul cassero per mitragliare i negrieri, ma non l’osavano ancora, temendo coll’istessa scarica di uccidere i loro compagni, che restavano tuttavia sul ponte dell’Albatros.
Il capitano Nunez comprese a colpo d’occhio la gravità della situazione. Se la goletta riusciva a venire all’abbordaggio e a lanciare i suoi quarantasei uomini sulla tolda dell’Albatros, pei negrieri era finita poichè non si sentivano più in grado di affrontare un secondo combattimento contro un nemico di tanto più numeroso.
Bisognava assolutamente impedire l’abbordaggio, e senza perdere tempo, poichè i soldati della goletta avevano cominciato ad aprire il fuoco coi loro fucili, abbattendo più d’un marinaio nemico.
— È carico a palla il pezzo da caccia? — chiese Nunez.
— Sì, capitano, — rispose Mumbai.