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74 parte i. — l’albatros.

L’inglese, che aveva i suoi dieci marinai quasi inermi e che non disponeva che di dodici carabine, esitava a impegnare la lotta. Prima che la goletta fosse giunta coi rinforzi, nessuno dei suoi sarebbe rimasto in piedi.

Era necessario prender tempo per non farsi inutilmente uccidere.

— Abbasso le armi, — disse.

Carrai! — esclamò Nunez che sapeva d’avere, almeno pel momento, il sopravvento. — Le farò abbassare quando voi vi arrenderete prigioniero.

— E voi sperate?...

— Non spero nulla, ma vi dichiaro che, giacchè avete voluto montare sul mio vascello, vivo o morto vi rimarrete.

— Badate che la goletta è a poche gomene e che ad un mio cenno scaricherà su di voi i cannoni.

— Ma faremo più presto noi a mandarvi a casa di Belzebù, signor ufficiale di S. M. Britannica.

— Basta! — gridò l’inglese. — Vi offro dei patti.

— Quali?

— Di seguirci alla Giamaica. Le autorità di Kingston decideranno della vostra sorte.

— Eh! Eh! Credete che noi siamo così ingenui da gettarci in bocca al lupo? Che ne dite, signor di Chivry?

— Che per parte mia non accetterò mai tale patto, — rispose il barone.

— Avete inteso, signor ufficiale? — disse Nunez.

— Ancora una volta, deponete le armi! — gridò l’inglese.

— Venite a prenderle.

— A me della goletta!... — tuonò l’ufficiale.

— Badate che al primo colpo di cannone che parte o alla prima mossa che fa la goletta, io vi faccio fucilare! — gridò il negriero.

— Fuoco su quei cani e poi alla carica! — comandò l’inglese.

Un immenso clamore si alzò fra i negrieri, che fu soffocato da una scarica di fucili partita da ambe le parti.

Parecchi uomini caddero, e primo fra tutti il coraggioso ufficiale; ma gli altri, non badando alle perdite subite, si scagliarono