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56 | parte i. — l’albatros. |
— Forse non dipende solamente dalle condizioni fisiche, avendo anch’io notato che quello stato di eccitazione non si riscontra in tutte le città americane, ma vi deve entrare qualche altra causa, come una specie di contagio nervoso dovuto forse ad accumulazioni ereditarie di tendenze e...
— Capitano!... — gridò in fretta Mumbai. — Guardate laggiù, a babordo. Temo che quel curioso voglia procurarci delle noie. —
Nunez si volse guardando nella direzione indicata, e fece un moto di stizza.
Una piccola nave, una goletta di trecento tonnellate, che prima non era stata veduta, veleggiava parallelamente all’Albatros, manovrando in modo da accostarlo, come volesse meglio osservarlo.
Dalla sua speciale costruzione, dai suoi sabordi, dai quali si vedevano sporgere le gole nere di parecchi cannoni, e dal grande nastro che ondeggiava sulla cima dell’albero di maestra, si capiva a prima vista che era un legno da guerra, una specie d’incrociatore. Era stato scorto dall’equipaggio soli pochi minuti prima in rotta verso il sud, ma improvvisamente aveva virato di bordo dirigendosi verso l’Albatros, non si sapeva se attratto da una potente curiosità o da qualche più imperioso motivo.
— Cosa vuole quel legno del malanno? — si chiese il capitano Nunez, aggrottando la fronte. — Mi ha l’aria di venire a spiarci.
— Che sia un legno brasiliano? — domandò il barone con voce agitata.
— No, è un incrociatore inglese che forse viene dalla Giamaica, — rispose Nunez, che era diventato pensieroso.
— Cosa potete temere allora, se viene dal nord?
— Voi dimenticate, signor di Chivry, che io sono un negriero.
— Non avete un solo schiavo nel frapponte.
— È vero; ma se quei furfanti d’inglesi sospettano che io sia un trafficante di carne umana, vorranno procedere a una visita e dalle carte di bordo apprenderanno che io vengo dall’Africa, e non sarà qui tutto. Se avessi tempo, farei levare gli anelli e le catene fissate nel frapponte, cose sufficienti per indicare a quale traffico io mi dedico.
— Cosa contate di fare?