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capitolo v. — il marchesino almeida. | 43 |
— Nemmeno se vi offrissi tutto ciò che mi rimane della mia sostanza?
— Carrai! — mormorò il capitano Nunez, che fino allora non aveva pronunziato una sola parola. — Che affare d’oro sarebbe per me, se avessi in mia mano quel giovanotto.
— No! — rispose il barone. — È inutile, non mi tentate, signor marchese.
— Ma chi siete voi adunque? — gridò il giovanotto.
— Un uomo che non tradisce l’amicizia e che sa mantenere i suoi giuramenti.
— Ditemi almeno chi è l’uomo che mi aspetta e cosa intende fare di me.
— Non lo so, — rispose il barone con accento risoluto.
— Ah! no!... — esclamò Almeida con furore concentrato. — Ma un giorno sarò libero e ricorrerò alle autorità brasiliane.
— Fatelo.
— E voi sarete appiccato!
— Forse allora non sarò più vivo, signor marchese, o sarò tanto lontano da farvi perdere ogni speranza di raggiungermi.
— Ma io metterò in subbuglio questa nave maledetta!...
— Provatevi.
— Le aprirò i fianchi e la subisserò o la incendierò.
— Pazzie!
— Vi giuro che mi vendicherò, — urlò il marchesino vieppiù irritato dalla calma del barone. — Lo giuro sul mio onore.
— Come vi piace. Vi ripeto però che sul ponte vi sono trenta uomini risoluti a impedire l’effettuazione di qualunque vostro disegno, e che le coste del Brasile sono lontane. A rivederci, signor marchese, e procurate di mantenervi tranquillo! —
Ciò detto, di Chivry uscì dalla cabina seguìto dal capitano, richiudendo dietro di sè la porta con ambi i catenacci.
Il marchesino non si era mosso per impedire l’uscita a quei due uomini: pareva fulminato, stupidito dalla sorpresa. Per alcuni istanti rimase immobile cogli occhi fissi sulla porta e le pugna convulsivamente strette, poi esclamò:
— Che io sogni o che io sia diventato pazzo!... Io prigioniero