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40 | parte i. — l’albatros. |
— Nulla, — rispose Nunez.
— Nessuna nave è comparsa?
— No, e credo che ormai più nulla abbiamo da temere.
— Chissà ove lo zio del marchesino avrà rivolte le sue ricerche, — mormorò di Chivry. — Meglio così!... Ma un giorno lo saprà, e forse non avrà da pentirsi di questo rapimento.
— E perchè, signor di Chivry? — chiese Nunez.
— Non m’interrogate, e lasciate che l’acqua corra pel suo verso. Andiamo dal prigioniero. —
Scesero nel quadro di poppa ed entrarono nella cabina.
Il marchesino Almeida dormiva ancora, ma si vedeva che quel sonno stava per cessare. Il suo viso, leggermente abbronzato, aveva ripreso il primiero colore perdendo la tinta scialba, la sua respirazione era diventata più naturale e più potente, le sue palpebre cominciavano ad agitarsi come se fossero stanche di essere abbassate, e le sue membra avevano dei fremiti che diventavano sempre più forti.
Il francese gli si accostò, gli introdusse fra i denti convulsivamente stretti, la punta del coltello spagnolo che teneva sempre fra le pieghe della sua larga fascia, e gli versò in bocca alcune gocce di rhum.
Subito il marchesino trasalì fortemente come se fosse stato toccato da una pila elettrica; poi alzò lentamente le palpebre, fissando sul francese due occhi neri, vellutati, d’uno splendore ammirabile.
Guardò quello sconosciuto per alcuni istanti, poi con una brusca mossa si alzò a sedere, esclamando:
— Dove sono io? —
Tornò a fissare il signor di Chivry che gli stava dinanzi colle braccia incrociate e senza dire verbo, poi guardò il capitano Nunez che lo contemplava silenziosamente, indi girò lo sguardo stupito all’intorno.
— Ma dove sono io? — chiese, aggrottando la fronte, mentre un fiero lampo gli sprizzava dalle pupille contratte.
— Su di una nave in rotta pel Golfo del Messico, signor marchese, — rispose di Chivry con voce tranquilla.