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capitolo xiii. — il re della prateria. | 235 |
ricchezze andassero perdute, preferì di farmi rapire, certo di rivedermi più presto e con maggior sicurezza.
Un cacciatore di prateria suo amico s’incaricò di tutto, e mandò il barone di Chivry al Brasile. Tu sai già, in qual modo venni preso, imbarcato sulla nave negriera del capitano Nunez e qui condotto. Quando giunsi alla Sierra Calabasa, mio fratello, che solo allora seppi essere tale, avendo prima sempre ignorato di averne uno, era moribondo.
Spirò fra le mie braccia, dopo aver fatto giurare ai sackems della tribù che io l’avrei sostituito nel grado di capo supremo. L’emozione provata nel vedermi aveva senza dubbio affrettato la sua morte.
Cercai a lungo di farti avere mie notizie, ma gl’Indiani che inviai alla costa, non ritornarono più. La guerra infieriva fra le mie tribù e le bande di cacciatori di capigliature messicane e senza dubbio furono tutti uccisi. La guerra del Messico con gli Stati del Nord sopravvenne quindi a rendere più difficili le comunicazioni colla costa; ma io pensavo sempre a te, ed un giorno avresti finalmente ricevuto mie notizie.
— E conti di rimanere qui?
— Sì, zio, io amo queste povere pelli-rosse che gli uomini bianchi odiano così tanto e perseguitano come belve feroci. Mi sono imposto una missione: l’incivilimento di questi Indiani e forse col tempo vi riuscirò.
Ho uomini fedeli, ho cavalli a centinaia, ho tende, comando io, perchè sono il re dei sackems ed amo la prateria come fosse la mia patria. Che cosa posso desiderare di più?
— E rimarrò anch’io, Almeida?
— Lo spero, zio.
— E anch’io, signore, — disse Sanchez, avvicinandosi. — Se mi volete, do un addio ai paesi dei visi-pallidi e ritorno cacciatore di prateria.
— Sarai il mio amico più fidato, e se vorrai, ti farò nominare capo di qualche tribù.
— Grazie, marchese.
— Grazie a voi, Sanchez, — disse don Inigo, stringendogli le mani