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234 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

— Tu!... Il mio Almeida!... — esclamava, piangendo e ridendo ad un tempo. — Ah! Io temevo di non rivederti mai più e di morire senza averti ritrovato!... Quanto devo a quel bravo Sanchez!... Ma... dimmi... non so come cominciare... ho mille cose da chiederti... e la mia memoria si confonde!...

— Calmati, zio mio, parleremo più tardi, non affaticarti, chè hai provato un’emozione troppo acuta.

— No, Almeida, tutto è passato, voglio sapere tutto, tutto!... Pensa che sono dieci lunghi anni che io mi torturo il cervello per sapere che cosa era avvenuto di te! Dimmi, Almeida, chi era quel capo Grand’Aquila che ti fece rapire?...

— Chi era?... — disse Almeida. — Non lo hai indovinato?

— No!

— Era mio fratello!...

— Tuo fratello!... Ah!...

— Sì, zio mio. Egli era diventato un grande guerriero, il capo supremo della famiglia degli Apachi. Dapprima cacciatore di prateria, si unì poi agl’Indiani, divenne famoso per le sue eroiche gesta e fu innalzato alla carica di primo Sackem.

— Ma perchè ti fece rapire?

— Egli ti aveva scritto di raggiungerlo, ma tu avevi creduto bene di non farlo.

— È vero, — disse il marchese. — Io temevo che egli fosse un tristo come prima, e mirasse a divorare gli ultimi avanzi della tua sostanza.

— Invece ti eri ingannato, zio mio. Egli voleva riparare i torti suoi, voleva farci ricchi tutt’e due, poichè aveva accumulato ricchezze immense, una vera montagna d’oro, che è nascosta in una profonda caverna della Sierra Calabasa.

— Ma perchè non ritornò nel Brasile?

— Perchè gl’Indiani non permettono ai loro capi di abbandonarli. Vegliavano su di lui, come vegliano ora su di me.

— E perchè ti fece rapire? Ecco il punto oscuro.

— Egli aveva ricevuto delle gravi ferite in uno scontro coi larghi coltelli dell’ovest (americani bianchi), e la sua esistenza stava per finire. Temendo che tu diffidassi ancora di lui, e che le sue