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capitolo xiii. — il re della prateria. 231

qui? Parla, Sanchez, narrami quello che sai, poichè io ignoro ancora tutto.

— Lo seppe da un documento trovato in mare, firmato da un certo barone di Chivry e scritto dieci anni prima.

— Dal barone di Chivry? È ancora vivo quell’uomo?

— No, capo, è morto.

— Morto!...

— È andato a picco colla nave su cui era, insieme a tutti i suoi, dopo un furioso combattimento con una goletta inglese.

— Ma dove?

— Mi pare che vostro zio mi abbia detto che affondò presso le coste di una regione che si chiama Florida.

— La goletta! — mormorò Almeida, come parlando a se stesso. — Ah! Ora comprendo tutto!... Eppure avrei riveduto volentieri quel Chivry che io a torto tanto odiavo. —

Stette alcuni minuti silenzioso, assorto in profondi pensieri, poi chiese:

— Sapeva mio zio dove mi trovavo?

— Il documento lo diceva: fra la Sierra Calabasa e la valle Tuneka.

— E tu sei venuto qui, certo di trovarmi.

— Se non con la certezza, almeno colla speranza di trovarvi.

— Chi accompagnava mio zio?

— Sei mulattieri e Gaspardo.

— Chi?... Gaspardo! — esclamò Almeida, con viva emozione. — Il mio fedele compagno di caccia? Ah! Come lo rivedrò volentieri. Orsù, narrami le peripezie del vostro viaggio. —

Sanchez non se lo fece ripetere due volte, e gli narrò minutamente tutte le avventure toccate alla piccola carovana, durante la lunga traversata. Quando Almeida apprese il tradimento del Saltatore, un lampo d’odio gli balenò negli occhi.

— Lo sapevo, che quel cane non avrebbe rispettato i visi-pallidi inoffensivi. Sta bene: pagherà il conto!... Qui comando io, io solo sono il capo supremo della grande famiglia degli Apachi e l’erede della sovranità di Grand’Aquila, e chi non mi ubbidisce, cada!... —