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230 | parte ii. — la grande prateria degli apaches. |
e voi altri, — disse volgendosi agli Indiani, — recategli un pezzo di tacchino selvatico e del maiz.
Poi si slanciò verso il grande calli del Consiglio, seguìto da tutti i capi della tribù.
La conferenza non durò che dieci minuti, niente di più. Quando il Re della prateria uscì, cinquanta dei più valenti indiani, armati per la maggior parte di fucili, di lance e di scuri, erano già a cavallo, pronti a partire.
— Sei pronto, Sanchez? — chiese al messicano, che in sei bocconi aveva divorato un quarto di tacchino e in tre sorsate aveva vuotata la fiasca.
— Sono pronto, capo, — rispose la guida, balzando in piedi.
— I cavalli! — gridò il marchesino.
Due bellissimi mustani dalle gambe magre, la testa leggera, il ventre stretto, due veri figli del vento, vennero condotti.
Il marchesino ed il messicano balzarono in arcione.
— Avanti! — gridò il giovane capo. — Ed ora, a noi due, Saltatore! —
I cinquanta guerrieri e sei dei più famosi e prodi capi si slanciarono dietro al marchesino ed a Sanchez, i cui cavalli divoravano lo spazio con rapidità incredibile.
La notte era calata da due ore e le dieci dovevano essere già trascorse; ma con quei rapidi cavalli potevano essere certi di giungere, prima della mezzanotte, nel campo del sackem Corvo Nero e prima dell’alba nell’accampamento del Saltatore.
Superate le ultime pendici della Sierra Calabasa, le quali difendevano, verso l’ovest, il grande accampamento del Re della prateria, la banda si slanciò attraverso le pianure erbose, dirigendosi verso la montagna Lana Negra, la quale si innalza al nord di quella regione, che porta il nome di Mesa la Vaca.
— Giungeremo in tempo? — chiese Sanchez al marchesino, che eccitava senza posa il suo cavallo.
— Ne sono certo, — rispose il giovane capo. — Dovessi fare scoppiare tutti i cavalli che ci seguono, noi giungeremo al campo di quel cane di Saltatore prima che si alzi il sole. Povero zio! Chi sa che notte passerà! Ma come ha saputo che io ero stato condotto