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222 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

Caricò il rifle che aveva trovato ancora appeso alla sella, se lo mise dinanzi e gettò un rapido sguardo dietro di sè.

Una banda composta di trenta o trentadue Indiani, usciva allora dal bosco urlando ed agitando furiosamente le lance ed i tomahwah. La caccia all’uomo cominciava!

Sapendo di aver da fare con degli abili cavalieri, che senza bisogno di speroni, di scudisci e di staffe, fanno divorare la via ai loro cavalli, si sbarazzò del sacco da viaggio, delle provviste, degli otri e perfino delle coperte e delle pelli di bisonte, per alleggerire il peso del proprio cavallo, poi si mise a spronare senza pietà, dirigendosi sempre verso l’est.

Dove andava egli? Come intendeva di salvare i suoi compagni che in quel momento dovevano essere tutti prigionieri e già condannati a subire, al palo della tortura, il più atroce martirio? Lo sapremo fra breve.

Gli indiani non lo perdevano di vista e si vedevano eccitare i loro piccoli ma rapidi mustani di razza spagnola, impazienti di impadronirsi dell’ardito messicano, il quale cercava di mantenere la distanza. Però questi s’accorse ben presto che due cavalli indiani, forse perchè più freschi o migliori corridori di tutti, sopravanzavano i loro compagni guadagnando via.

Erano montati da due guerrieri di alta statura, ed uno dei due pareva un sottocapo, dalla penna d’aquila che portava infissa nei capelli.

Carrai! — esclamò il bravo messicano, che si volgeva di frequente, per vedere se guadagnava spazio. — Temo di dover sudare parecchio per sfuggire al loro inseguimento; ma bah! Tanto peggio per loro, se giungeranno a portata del mio rifle.

Avanti, mustano mio, bisogna che tu corra, dovessi aprirti il ventre e bruciarti gli orecchi. Bisogna che prima di questa sera sia là o tutto è perduto!... —

Ed il povero cavallo, sempre spronato, correva, correva come il vento salendo e scendendo le alture, attraversando piccoli boschetti o precipitandosi attraverso l’erbe della prateria, che falciava coi suoi robusti zoccoli.

Pareva avesse indovinato che dalla sua rapidità dipendeva