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220 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

— È una squaw1 costui o il figlio d’un culatta?2

— No, — rispose Sanchez, frenando un moto di rabbia, — è un uomo che ha cuore, che ama il Re della prateria perchè è suo nipote.

— Hug! — esclamò il capo. — Sta bene: vi condurremo dal gran capo della valle Tuneka; ma bada, viso-pallido, se cerchi d’ingannarmi per salvare la tua capigliatura, o per tentare un colpo di mano sul grande capo della nostra tribù, ti farò legare al palo della tortura e ti farò soffrire tali strazi, da farti maledire il momento in cui hai posto piede sul territorio degli Apachi! È qui tutto quello che volevi sapere?

— No, Sackem, ho ancora una cosa da chiederti.

— Parla, mio fratello viso-pallido.

— Mentre noi eravamo accampati sul Rio Virgin, alcuni tuoi guerrieri ci rapirono un cacciatore che inseguiva i tacchini selvatici. Io reclamo la libertà di quell’uomo che al pari di noi non è tuo nemico, e che viene dai lontani paesi del sud. —

L’indiano a quelle parole scattò in piedi coi lineamenti contratti da un improvviso accesso di furore, e tendendo una mano verso Sanchez, gli gridò:

— Tu menti!

— Che cosa vuoi dire, Sackem? — chiese il messicano che si teneva pronto a balzare in piedi.

— Che tu menti, poichè quell’uomo che tu dici non essere nostro nemico, ha fatto fuoco sul Sackem Dorso Duro fracassandogli un braccio.

— I tuoi hanno assalito il nostro cacciatore ed egli si è difeso.

— È stato il tuo cacciatore che ha sparato sui miei uomini.

— Capo! — disse Sanchez, che cominciava a perdere la calma. — Avresti la lingua biforcuta?

— Cane d’un viso-pallido! — urlò il Saltatore. — Sono un Sackem io!...

— E tu menti egualmente!

— Hug! Il viso-pallido intende d’insultare il Saltatore?

  1. Donna.
  2. Figlio d’un uomo che si disprezza, un vile.