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204 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

guerrieri, e se sperate colle vostre torture di far urlare un Comanco, vi ingannate! — E cantava, malgrado tante spaventevoli mutilazioni, il suo canto di guerra, vantando le proprie imprese e quelle della sua tribù!

— Ma che carni hanno questi Indiani? — chiese il marchese, rabbrividendo.

— Si dice che la loro sensibilità sia di gran lunga inferiore alla nostra, e che quindi provino molto meno dolore di noi. Ed infatti, se così non fosse, non ecciterebbero i loro torturatori a raddoppiare il martirio.

— Può essere, — disse il marchese. — So che la razza etiope è molto meno sensibile di noi, e che gli abissini subiscono spaventevoli mutilazioni senza batter ciglio. Povero Gaspardo!... In quali mani sei caduto!...

— Speriamo di salvarlo, marchese. Orsù, corichiamoci, e prima dell’alba partiremo. —

Alle quattro del mattino si rimettevano in marcia dietro alle tracce dei rapitori, che si scorgevano sempre sulle sabbie del deserto. I cavalli ed i muli, che conservavano meravigliosamente le loro forze in virtù dello zucchero che il messicano scioglieva abbondantemente nella loro acqua senza economia, si misero a galoppare con molta lena, senza che i cavalieri dovessero ricorrere agli speroni ed alle fruste.

Le tracce della terza fermata degl’Indiani vennero ritrovate verso le otto del mattino, e quelle della quarta verso le due pomeridiane; ma le ceneri erano sempre fredde.

Superate le estremità settentrionali della Sierra North-Side, che si eleva quasi nel cuore del deserto, e nei cui cañon trovarono acqua ed erbe, gli inseguitori piegarono verso il nord-est, poichè le orme si dirigevano verso quella direzione.

La notte li sorprese a circa quaranta miglia dalla riviera Verde.

Il terzo giorno i cavalli ed i muli cominciarono a dare segni di stanchezza. Quelle corse indiavolate li avevano quasi sfiniti; ma Sanchez, che sapeva di aver guadagnato sui rapitori parecchie ore e che sperava di raggiungerli in breve, non diede riposo alle povere bestie.