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capitolo x. — l’inseguimento. | 203 |
strette dell’agonia, quelle furie si mettono a ballare attorno a lui una ridda infernale.
Un guerriero poi s’incarica di scotennare il morto, se non l’ha fatto prima, onde la capigliatura non corra il pericolo di abbruciare.
— È orribile, Sanchez! — esclamò il marchese, che era diventato livido, pensando che Gaspardo poteva subire un così spaventevole supplizio. — Ma anche i loro confratelli rossi li torturano così?
— Peggio che peggio, perchè la pelle rossa affronta serenamente tale martirio non solo, ma incita i suoi carnefici a renderlo più crudele.
— I prigionieri?
— Sì, marchese. Io assistei una volta al supplizio di un Comanco, che era caduto nelle mani dei Navajoes. Il prigioniero, lungi dallo spaventarsi e dall’implorare pietà, derideva i suoi carnefici perchè non conoscevano torture più atroci.
— A tuo fratello, — diceva ad un guerriero navajoes che lo scotennava — gli ho strappato gli occhi e al loro posto ho messo due carboni accesi!... A tuo figlio, — diceva a un vecchio indiano che lo saettava colle sue frecce, — io ho mangiato la lingua e gli ho versato in bocca tre palle di fucile fuse; a tuo padre, — diceva ad un altro dei suoi carnefici, — ho versato dello zolfo liquefatto nelle sue piaghe, ed a tua sorella ho strappata la pelle del seno. Voi siete femminucce, voi non sapete torturare i