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Capitolo Decimo.

L’inseguimento.



Dopo le ultime parole pronunziate dal marchese con voce vivamente commossa e con le lagrime agli occhi, un profondo silenzio era succeduto. Il messicano e gli arrieros, che non sapevano a quale partito appigliarsi e che ormai ritenevano per sempre perduto il loro disgraziato compagno, erano diventati tristi e pensierosi, e pareva che cercassero di evitare gli sguardi del marchese.

Essi, che avevano una profonda conoscenza di quelle regioni e che sapevano con quali feroci e spietati nemici avrebbero avuto da fare, se avessero voluto tentare di raggiungere i rapitori per liberare il prigioniero, consideravano la partita irreparabilmente perduta.

Ed infatti, come raggiungere quegli uomini che marciano con una rapidità incredibile anche attraverso i deserti, che dovevano avere dei rapidi mustani e che già avevano un vantaggio di oltre dodici ore? Sarebbero giunti alla loro tribù molto tempo prima degl’inseguitori, e nessuno, per quanto bene armato e risoluto, avrebbe osato di entrare in un accampamento indiano, composto forse di cento, dugento, cinquecento guerrieri. Il marchese, che lanciava sguardi disperati sul deserto che estendevasi a perdita d’occhio dinanzi a lui, quasi avesse la speranza di scoprire i rapitori, ruppe pel primo il silenzio.