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168 | parte ii. — la grande prateria degli apaches. |
Continuando la marcia attraverso a quel ricco tappeto di verzura, che pareva non dovesse terminar più, dopo una trottata di otto ore giungevano presso le sponde settentrionali del lago, dove scoprivano le cime dei monti Telescopio, i quali correvano dal nord al sud per un tratto lunghissimo, mostrando delle vallate ricche di vegetazione.
Sanchez, che aveva scoperto altre tracce di bisonti, decise di accamparsi in quel luogo, sperando di abbattere qualcuno di quei grossi capi di selvaggina. Essendo il lago vicino, era probabile che qualche mandria si recasse colà a dissetarsi.
La notte però calò, senza che nulla apparisse. Solamente parecchi lupi si videro galoppare per la prateria, dirigendosi verso l’est come se un motivo imperioso gli spingesse in quella direzione. La grossa selvaggina si trovava senza dubbio da quella parte.
Verso le 10, rassicurati dalla calma che regnava nella prateria, i viaggiatori, sfiniti dalla lunga e faticosa marcia, si ritiravano sotto le tende, mentre due arrieros montavano la guardia per vegliare sulla sicurezza comune.
Dormivano da sei ore, quando gli orecchi degli uomini di quarto vennero colpiti da un lontano fragore, che pareva diventasse più intenso di minuto in minuto. Sembrava che dai monti Darwin scendesse nella prateria un immenso e furioso torrente o che soffiasse un vento impetuoso.
I due mulattieri, inquieti, erano balzati in piedi guardando attentamente verso l’ovest; ma sull’oscura prateria nulla si vedeva, quantunque quello strano fragore crescesse sempre.
— Che qualche fiume abbia rotto gli argini? — chiese uno dei due.
— Quale? — rispose l’altro. — Che io sappia, non vi sono fiumi in questa prateria.
— Che stia per scoppiare un uragano?
— Il cielo è limpido e non spira un alito di vento, Josè.
— Svegliamo Sanchez. —
Il messicano, scosso vigorosamente ed informato di ciò che si udiva, si affrettò a lasciare la tenda. Dopo aver ascoltato con pro-