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166 | parte ii. — la grande prateria degli apaches. |
fra le erbe, pochi cani di prateria, piccoli e strani animali, che sfuggono la vicinanza dell’uomo, e che vivono in società entro profonde tane, dove dicesi che tengano per loro compagnia una civetta ed un serpente a sonagli. Accoccolati sulle zampe posteriori, guardavano malinconicamente la piccola carovana, emettendo di quando in quando delle deboli grida ed al suo avvicinarsi si rifugiavano nelle loro tane.
A mezzodì i viaggiatori incontrarono un terreno nerissimo e cosparso di cenere, seminato di giganteschi scheletri che parevano di bisonti.
— Si è appiccato il fuoco qui? — chiese il marchese a Sanchez.
— Sì, — ripose la guida.
— Accidentalmente forse?
— Per trascuranza probabilmente. Talvolta sono i cavalli selvaggi, in mezzo ai quali si trovano sovente dei cavalli che furono un tempo addomesticati, e che urtando coi ferri contro qualche sasso o contro qualche roccia, sprigionano delle scintille, ma per lo più sono gl’Indiani.
— Ma a quale scopo?
— Ve l’ho detto, per trascuranza. L’indiano è l’essere più imprevidente della creazione: per accendere la sua pipa non bada ad incendiare una foresta; per prepararsi un pranzo dà fuoco a una prateria. È molto se risparmia le piante di sommacco, che fuma mescolato alla corteccia del salice rosso, o se salva i girasoli per mangiarne semi oleosi, o l’acero perchè gli procura il legname necessario per le ruote dei suoi carri, o l’albero del cotone che gli dà la corteccia che nell’inverno serve di nutrimento ai suoi cavalli.
Non pensa che a sè e all’oggi; del domani e degli altri uomini egli non si cura. —
La sera la carovana si accampò presso le sponde settentrionali del Cerro Gordo, vasto lago semipaludoso, che si trova nel mezzo della valle Salinas.
Gaspardo, che si era allontanato di qualche miglio, avendo scorto le tracce di alcuni animali, fu tanto fortunato da uccidere due antilopi.
Nei giorni seguenti la carovana varcava la Sierra Darwin e ca-