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capitolo vi. — la valle salinas. 163

Bastarono due giorni di rapida marcia per percorrere le sponde di quel lago; poi la carovana s’inoltrò attraverso ad uno stretto cañon, specie di gola aperta fra alte colline, e che doveva condurli nella valle Salinas.

La sera istessa, superata una piccola catena di montagne, scendeva di galoppo nella valle, la quale si estende parecchie diecine di miglia verso l’est, fino ai primi contrafforti della Sierra Darwin.

Era una specie di pianura, interrotta qua e là da piccoli pares, ossia da poggi boscosi e coperta da graminacee alte quanto un uomo, eccellente pascolo pel bestiame; di grandi ammassi di salvia, di menta, di semprevivi campestri e di piante d’assenzio dal profumo acuto. Nel suo seno contiene un lago chiamato Cerro Gordo, di cui s’ignora ancora l’estensione, non essendo stato visitato che da pochi cacciatori di prateria.

Sanchez, rassicurato dal silenzio che regnava in quella vasta pianura, fece rizzare le tende, dopo aver fatto strappare all’intorno l’erba per evitare un incendio, le cui conseguenze potevano essere disastrose, incalcolabili.

Il pasto della sera fu magro, non possedendo che pochi pugni di farina, tanto da impastare una dozzina di frittelle, o, come le chiamano i cacciatori di prateria, di flat-jachs, ed un pezzo di prosciutto. Sanchez, però, vi unì dei lamponi assai grossi, dei quali sono avidi gl’Indiani, che li mescolano con le uova di storione, parecchi navoni grossi come un ravanello, e alcune cipolle chiamate kamas, trovate fra le erbe della prateria.

— Se non temessi di venir sorpreso da qualche banda d’Indiani, vorrei fermarmi qui un paio di giorni per rinnovare le provviste, — disse il messicano al marchese.

— Temete qualche pericolo?

— Siamo in una regione battuta dalle pelli rosse.

— Sareste certo di trovare della selvaggina qui?

— I tacchini selvatici abbondano ed anche i daini, i pecari e forse si potrebbe trovare qualche manada di bisonti.

— Un branco, volete dire?

— Sì, señor.