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160 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

notturna, e inzuppati ed intirizziti, si misero in marcia seguendo una specie di sentiero che si perdeva nelle valli sottostanti, descrivendo delle curve capricciose.

Avevano superato già parecchie creste, che intercettavano la vista verso l’est, quando Sanchez mostrò al marchese una immensa distesa d’acqua, che si prolungava nella grande pianura giù al basso.

— Un lago? — chiese il marchese.

— È l’Owen, — ripose il messicano.

— Non riesco a scorgere le sue rive orientali.

— La pianura è coperta di nebbia; ma se non fosse così, da questa altezza si potrebbero scorgere, quantunque siano assai lontane.

— E saremo costretti a girare questo vasto bacino?

— È necessario, señor. Scendiamo, chè ho fretta di giungere al lago. —

Si rimisero in marcia scendendo nei piani inferiori con rapidità notevole, essendo quella parte della Sierra meno ripida dell’altra; ma la notte li sorprese a mezza via.

Il giorno appresso però, dopo aver attraversato parecchie vallate, giungerono finalmente al piano, galoppando verso l’est, in mezzo ad una prateria coperta di alte erbe, e che pareva si prolungasse fino alle rive del lago.

La pioggia si era calmata; però il cielo si manteneva coperto, e sul Whitney si vedevano addensarsi nuvoloni color della pece, gravidi d’umidità.

La prateria pareva si fosse tramutata in una pianura acquitrinosa, e si vedevano correre verso il lago migliaia di fiumicelli, i quali dovevano rialzarne considerevolmente il livello, non avendo quell’ampio bacino alcun canale di scarico.

Verso il mezzodì, dopo una corsa di tre ore, la piccola carovana giungeva sulle rive del bacino e precisamente dinanzi ad una piccola baia ingombra di vecchie zattere mezzo sfasciate e di tronchi d’albero galleggianti.

L’Owen si estendeva dinanzi a loro a perdita d’occhio, allargandosi verso il levante nella cui direzione pareva che non finisse