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122 parte ii. — la grande prateria degli apaches.

— Ma il servo che l’accompagnava era forse stato ucciso? — chiese la guida, che prestava viva attenzione alle parole del marchese.

— No, era stato imbavagliato e legato ad un albero insieme con un giovane schiavo che aveva guidato i rapitori, allettato da alcune monete. Lo ritrovai due giorni dopo, mezzo soffocato e morente di sete; ma nulla seppe dirmi sui rapitori, essendo rimasto stordito per la caduta.

— Era un servo fedele?

— Oh! Fedelissimo e mi accompagnerà nelle praterie.

— E poi?

— Per dieci anni visitai tutte le boscaglie di Porto Alegre, di Rio Grande, della laguna dos Patos e le rive del mare, ma senza risultato. Il solo caso doveva darmi notizie di mio nipote e dei suoi rapitori.

— Oh!... Oh!... ascoltiamo.

— Tre mesi sono, ricevetti un pacco che mi veniva spedito dall’Ammiragliato inglese e dall’ambasciatore brasiliano di Londra. Conteneva una scatola di latta, coperta d’incrostazioni marine, e che all’esterno, incisa rozzamente, portava la data: 16 maggio 1842.

— Era stata gettata in mare dieci anni prima? — chiese Sanchez, che non staccava gli occhi dal marchese.

— Sì, proprio dieci anni prima. La scatola era stata aperta, senza dubbio dall’equipaggio che l’aveva raccolta, e nell’interno vi erano una lettera ed un fascio di documenti ingialliti dal tempo e dall’umidità, ma ancora in buono stato.

Aprii la lettera. Era stata scritta dal segretario dell’Ammiragliato e m’informava che quella scatola era stata raccolta, pochi mesi prima, da una nave mercantile inglese nei paraggi delle isole Fär-öer, a 62°,10' di latitudine e a 9°,56' di longitudine, e che i documenti che conteneva riguardavano me.

Voi non mi crederete; eppure nel vedermi dinanzi quella scatola, mi balenò subito in mente la speranza che quei documenti contenessero delle informazioni sul misterioso rapimento di mio nipote.

Non saprei dirvi con quale ansia febbrile lessi quelle preziose carte.