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114 parte i. — l’albatros.

Smarrito, spaventato, s’alzò sulle ginocchia chiamando con voce fioca:

— Nunez!... Mumbai!...

Nessuno rispose: tutta quella gente che giaceva sulla coperta della nave negriera era morta, e forse da parecchie ore.

— Quale distruzione! — mormorò. — E la goletta è affondata?... Ed io vivo ancora?... Vivo!... Sono un morto, o un moribondo? —

Si scoprì il petto. Da una ferita usciva un filo di sangue nero.

— La palla... è qui... m’ucciderà... fra breve... e... morrò così... e Almeida?... —

A quel nome un fugace rossore colorì le smorte gote dell’agonizzante.

Facendo uno sforzo disperato si alzò sulle ginocchia. Allora solo s’accorse che anche per l’Albatros era suonata l'ultima ora.

La nave, sfondata sul tribordo dall’urto colla goletta, affondava lentamente col suo carico di cadaveri. Nella stiva si udiva l’acqua entrare con cupi muggiti.

Un pallido sorriso sfiorò le labbra del barone.

— Il presentimento... era... vero!... — mormorò. — A me... mie forze!... —

Si rizzò penosamente in piedi, e sostenendosi alla murata di babordo, attraversò la tolda dirigendosi a poppa.

Nel passare dinanzi a quell’ammasso di cadaveri, gettò su di loro uno sguardo.

In mezzo, colla fronte spaccata, vide Mumbai, il quale stringeva ancora, fra le mani rattrappite, la sua terribile