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capitolo xiii. — un terribile combattimento. 111

— Ma il canale è profondo e lo sperone del mio Albatros è solido, — disse Nunez.

— Volete speronarla? — chiese di Chivry.

— Sì, barone: sono deciso. —

Salì sul ponte di comando e gridò:

— Ognuno a posto di combattimento: alla barra, Mumbai, e sperona dritto!...

— Buono! — esclamò il gigante. — Faremo una marmellata di quei furfanti! —

L’Albatros cambiò bruscamente la rotta e si slanciò verso la goletta, la quale non distava che quattrocento metri.

I marinai avevano impugnato le carabine, le sciabole d’abbordaggio e le scuri, pronti a slanciarsi sul ponte della nave nemica; Mumbai teneva presso di sè la sua terribile sbarra di ferro.

La goletta, vedendo che la nave negriera le correva addosso, aprì un fuoco d’inferno coi suoi sei pezzi di babordo. Il suo equipaggio ormai aveva compreso che si stava per tentare un colpo disperato, e che lo sperone stava per entrare in campo.

Essendo la nave da guerra quattro volte più piccola della nave avversaria, tirava furiosamente contro questa, ben sapendo che se veniva investita, non avrebbe resistito all’urto.

Le palle e le granate fischiavano attraverso l’alberatura del negriero, la mitraglia sibilava sulla tolda schiantando le murate, lacerando le vele, troncando le sartie e abbattendo gli uomini, ma l’Albatros continuava la sua corsa salendo e scendendo le onde.

Il capitano inglese, che non voleva fuggire, non si perdeva d’animo. Comprendendo ormai il disegno audace e pericoloso del negriero, virò di bordo e presentò all’Albatros la sua prua.

Nunez, che non perdeva d’occhio la goletta, comandò pure di virare di bordo, ma comprese subito che non sarebbe mai venuto a capo d’investirla, poichè la manovra delle sue vele era più difficile e richiedeva un tempo maggiore.

— Ah! È così! — esclamò coi denti stretti. — Ebbene, si monti all’abbordaggio! —

L’Albatros non era che a pochi passi dal legno da guerra e stava per avventarsi alla prua di lui, a rischio di ricevere la