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98 parte i. — l’albatros.

— Seguitemi, caballeros, — disse il messicano rivolgendosi a Nunez e ai due marinai.

Salì la sponda accompagnato dal barone, entrò nella macchia di felci, e fatti dugento passi, si fermò dinanzi ad una capanna, che pareva costruita di recente, dinanzi alla quale pascolavano sei bellissimi cavalli, sei veri mustani, cavalli selvaggi delle praterie messicane, dalle gambe secche e nervose, la testa leggera, la statura piuttosto bassa, come sono, in generale, tutti quelli che scorrazzano le immense praterie del territorio indiano, del Texas, dell’Arizona e dell’Arkansas.

— Entrate, caballeros, — disse. — Non vi offro che un ricovero contro i raggi del sole, un povero abituro costruito alla meglio, mancante di ogni comodità; ma vi troverete qualche bottiglia di mezcal, dei sigari e delle costolette d’antilope abbastanza succulenti.

— Noi non domandiamo di più; señor Ramieroz, — disse il capitano.

La capanna era quasi vuota. Non si trovavano nell’interno che le bardature dei sei cavalli, due sgabelli costruiti coi rami degli alberi, un’amaca e un piccolo forno dove stavano cuocendo alcune tortillas, specie di focacce fatte col maiz e che sono molto in uso nel Messico, anzi si può dire che tengono il posto del pane.