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capitolo xii. — il cacciatore di prateria. 97

— Il marchesino è nella baleniera.

— Legato? — chiese il messicano, aggrottando la fronte.

— No, ma dorme e non si sveglierà prima di un’ora. —

Ramieroz s’avvicinò all’imbarcazione e contemplò per alcuni istanti, e con vivo interesse, Almeida.

— Grazie, di Chivry, — disse poi. — Spero che il capo sarà contento.

— Quale capo? — chiese il barone.

Il messicano si mise un dito sulle labbra, per invitarlo a tacere, poi disse:

— Sono cose che non ti riguardano. —

Indi volgendosi verso Nunez che ascoltava attentamente i loro discorsi:

— Favorite seguirmi, señor...

— Fernando Nunez, capitano del brick l’Albatros, — disse il barone.

Il messicano s’inchinò cortesemente dinanzi al negriero porgendogli la destra, poi continuò:

— Credo che sarete stanchi e gradirete un po’ di riposo nella mia povera capanna.

— Devo far portare il marchese? — chiese Nunez.

— È inutile, — rispose il messicano.

Accostò alle labbra un fischietto ed emise tre note acute.

Poco dopo quattro indiani di statura quasi gigantesca, col capo adorno di piume, i calzoni tagliati, aperti all’estremità inferiore e ornati di certe frange nere che si sarebbero scambiate per ciuffi di capelli umani, uscirono dalla macchia, entro la quale pareva che si tenessero imboscati, armati di fucili e di quelle formidabili scuri che si chiamano tomahwah.

— Khiovara, — disse il messicano, volgendosi verso quello che pareva il più vecchio, — prendi quel giovanotto e fallo trasportare nella capanna coi dovuti riguardi. È l’uomo che il capo aspetta. —

L’indiano fece un cenno affermativo e s’avvicinò alla baleniera, sollevando delicatamente il giovane marchese che dormiva ancora.