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88 | emilio salgari |
— Nadir — rispose la giovanetta avvinghiandosi al collo di lui. — Dove siamo noi?
— Non lo so, ma non odo più i servi del principe.
— Dove mi conduci?
— Lo ignoro: io mi trovo come smarrito.
— Ma non eri mai disceso in Teheran?
— Mai prima d’ora.
— Sarà molto tardi?
— La mezzanotte non deve essere lontana.
— Tutti dormono a quest’ora in Teheran.
— Ah! Se potessi giungere alle porte della città.
— Ti ho detto che devono essere chiuse.
— Dove andremo noi adunque?... Se fosse giorno...; ma passare tu la notte all’aperto!...
— Con te non ho paura, mio Nadir.
— Taci!...
— Ancora le grida?
— No: odo un lontano brusìo, come di molte voci.
— Ah!...
— Che cos’hai?
— Domani è il giorno del martirio: andiamo alla piazza di Meidam e troveremo molta folla e dei caffè aperti.
— Perchè?
— Stanno preparando le tende per la cerimonia.
— Troveremo anche delle donne?
— Certamente, Nadir.
— Allora non verrai osservata.
— Non lo credo: però abbasserò il velo, che è assai fitto, e nessuno mi vedrà in viso.
— Andiamo.
— Ma!...
— Che cos’hai ancora?
— Non ti conosceranno?
— Bah!... Chi si ricorda di me oramai? Vieni, Fathima, e non temere.