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86 | emilio salgari |
— Zitto, mio Nadir.
— Che cos’hai udito, amor mio? — chiese egli impallidendo.
— M’è sembrato che un ramo si rompesse laggiù.
— Dietro quei cespugli di rose?
— Sì, Nadir — rispose ella rabbrividendo.
— Non muoverti e chinati presso di me.
— Ma se vengono?
— Li ucciderò — rispose freddamente il montanaro.
— Tremo per te, Nadir.
— Finchè ho il mio kandjar, nessuno oserà avvicinarsi per istrapparti al mio fianco.
Si curvarono in mezzo all’aiuola e stettero in ascolto, in preda ad una viva ansietà. Passarono alcuni minuti, ma nessun rumore giunse ai loro orecchi e nessun uomo comparve.
— Ti sarai ingannata — disse Nadir. — Affrettiamoci, prima che Aliabad possa venire liberato.
Si misero in cammino seguendo l’alta muraglia, che alzavasi dritta, senza crepacci, per oltre otto metri, e giunsero in un luogo ove si abbassava, mostrando qua e là delle vecchie screpolature. Alcuni merli mancavano e pareva che da quel lato, in un’epoca lontana, avesse sostenuto un fiero assalto.
— Fermati qui, Fathima — disse Nadir. — Posso tentare la scalata.
Si guardò attorno per accertarsi di non essere spiato, ascoltò un’ultima volta, poi s’aggrappò ai crepacci e alle piante arrampicanti che cadevano dalla cima e si mise a salire con un’agilità straordinaria e procurando di non far rumore.
L’impresa non era facile, ma il montanaro, abituato a scalare le rocce del gigantesco Demavend, s’innalzava rapidamente, puntando i piedi nelle più piccole sporgenze e cacciando le nervose dita entro le fessure.
In due minuti superò la distanza e si trovò a cavalcioni della muraglia, fra due merli semidiroccati. Guardò dall’altra parte: la muraglia metteva su di una viuzza deserta, rinserrata fra alte pareti che cingevano dei giardini.
— Nessuno — mormorò. — Allah mi protegge!
Sciolse il cordone di seta che aveva preso nella stanza della giovanetta e lo gettò nel giardino, dicendo:
— Presto, mia Fathima, legalo sotto le ascelle, e fidati delle mie braccia.