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il re della montagna 85

Gettò un rapido sguardo sotto la cupoletta e vide che la porta dell’imponente palazzo era chiusa. Respirò come gli fosse levato un gran peso che gravitassegli sul petto, e si terse alcune gocce di freddo sudore che gli imperlavano la fronte.

— Odi nulla, Nadir? — chiese Fathima, scivolandogli fra le braccia e mettendo piede a terra.

— Tutto è silenzio.

— Ho paura.

— Non tremare, mia diletta. Domani saremo sulla mia montagna, fra le braccia del vecchio Mirza. Là sfido i soldati dello sciàh.

— Ma come faremo a uscire dalla città?

— Sono chiuse le porte di notte?

— Sì, Nadir, e non s’aprono che all’alba.

— Ma domani non è il martirio di Hussein?

— È vero, Nadir.

— Questa notte le porte della città saranno aperte adunque.

— No: ne sono certa. Restano sempre chiuse dal tramonto all’alba.

— Vedremo che cosa potremo fare, Fathima. Intanto fuggiamo, o verremo presi.

Così discorrendo, si erano internati sotto gli alti alberi, procedendo cautamente per tema di venire scoperti da qualche uomo imboscato. Fortunatamente pareva che l’ampio giardino fosse deserto, poichè non si vedeva nessuna persona, nè si udiva alcun rumore.

Nadir, tenendo per mano la giovane persiana, mentre nella destra impugnava una pistola, si era cacciato in mezzo ad una folta aiuola di fiori che esalava un acuto profumo, e rimuoveva le piante con precauzione. Di tratto in tratto si volgeva verso Fathima e, sentendola tremare, le susurrava:

— Non temere, mia diletta: il Re della Montagna ti difende.

Camminavano da dieci minuti, quando giunsero ai piedi della muraglia. Nadir la misurò collo sguardo, ma in quel luogo era tanto alta da sfidare una scalata.

— Non è qui che sono disceso — diss’egli.

— Ma potrò salire io? — chiese la giovinetta. — Ciò che è possibile per un uomo, sarà difficile per una donna, Nadir.

— Ho portato con me un cordone di seta — rispose egli. — Tu sei leggera e ti alzerò fino alla cima della muraglia.