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il re della montagna 83

In quel frattempo la notte era lentamente discesa sulla città. Il crepuscolo lottava colle prime tenebre, che scendevano rapide come una calata di corvi.

Il brusìo che aleggiava sopra la vasta città si spegneva a poco a poco, e solo per l’aria si udiva echeggiare la voce nasale dei mollah.

Nadir aveva tratto la fanciulla verso una finestra, e strettamente abbracciati, nascosti dietro le tende di seta azzurra, aspettavano ansiosamente l’istante propizio per effettuare la fuga.

Non pensavano più che alla loro felicità e alla loro fuga; non si ricordavano più nè del guardiano che si rodeva di collera e che, credendosi solo, faceva sforzi poderosi per allentare le corde e per liberarsi dal bavaglio che lo soffocava, nè al terribile vecchio che poteva, da un istante all’altro, entrare, nè ai mille pericoli che stavano per affrontare.

Un colpo secco battuto alla porta li strappò bruscamente da quell’ebbrezza amorosa. Fathima e Nadir si sciolsero rapidamente e impallidirono.

— Chi può essere mai? — chiese la giovinetta, tremando.

— Forse il principe? — chiese il montanaro.

— Nell’alcova, Nadir, o siamo perduti.

Il giovanotto d’un balzo fu dietro le tende, rivolgendo la punta del kandjar contro Aliabad che si era disteso sui tappeti.

Fathima si mise una mano sul petto come se volesse imporre silenzio ai battiti del cuore, poi, facendo appello a tutto il suo coraggio, andò ad aprire.

Un servo entrò, recando la cena su di un grande vassoio d’argento. Non vedendo Aliabad, guardò la giovanetta con stupore.

— Chi cerchi? — chiese questa, che l’aveva compreso.

— Aliabad non è qui? — chiese. — Il padrone gli aveva proibito di lasciarti un solo istante.

— Dorme nell’alcova.

— A quest’ora?

— Vattene — diss’ella con un gesto altero.

Il servo uscì inchinandosi e augurando la buona notte. Fathima chiuse la porta, ma stette in ascolto per accertarsi se scendeva negli appartamenti della servitù o se saliva in quello del principe. Un pallore mortale le si sparse tosto sul viso.

— Che hai, Fathima? — chiese Nadir, che si era avvicinato. — Tu sei pallida.