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il re della montagna 77

sulle tende di seta dell’alcova. Fathima non aveva più osato guardare da quella parte per tema di accrescere i sospetti di lui, ma la sua ansietà aumentava ed invano cercava un modo per uscire da quella disperata situazione, che poteva causare la morte del prode e leale Nadir. Ella si chiedeva con ispavento che cosa sarebbe accaduto se l’astuto guardiano si fosse accorto della presenza di quel giovanotto, e come questi avrebbe potuto salvarsi, se la prigionia continuava.

Aveva dapprima pensato d’allontanare quell’incorruttibile guardiano con un pretesto qualsiasi, ma si era ben presto convinta che egli non si sarebbe mosso, sospettoso come era. Aveva pure pensato di tentare d’ubriacarlo introducendo nella caraffa dell’acqua zuccherata un granello o due di oppio, ma egli non la perdeva d’occhio. Nondimeno bisognava trovare uno scioglimento: non voleva veder morire di fame e di sete il povero Nadir, che già da ventiquattro ore non aveva preso una goccia d’acqua.

Mentre pensava e ripensava arzigogolando progetti sopra progetti, Aliabad, che pareva si trovasse molto bene in quella stanza, e che pareva risoluto a non muoversi, aveva caricato il suo nargul di quell’eccellente tabacco chiamato tumbak, assai forte perchè si raccolgono le foglie allorquando sono appassite, e si era messo a fumare con una beatitudine da far invidia ad un pascià.

— Aliabad, — disse ad un tratto Fathima, — dov’è il padrone?

— Nelle sue stanze.

— Va’ a chiamarlo, chè devo parlargli.

Aliabad prese un piccolo martello e fece atto di battere su di una lastra di rame e bronzo che era sospesa al muro.

— Che cosa fai? — chiese Fathima, coi denti stretti.

— Chiamo i servi perchè avvertano il padrone.

— Non lo chiamerai.

— Come ti piace, signora.

In quell’istante, dietro alla tenda dell’alcova, si udì come un sospiro ed uno scricchiolìo. Il servo balzò in piedi gettando uno sguardo sospettoso sulla giovane persiana e un altro sulla tenda.

— Ma vi è qualcuno là dentro — disse.

— Nessuno — rispose Fathima, mettendosi risolutamente dinanzi a lui.

— Ho udito un sospiro.

— Il tumbak ti è salito al cervello.

— No, signora: il mio cervello è sereno.