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76 emilio salgari

Aliabad pareva che fosse solamente occupato a mangiare: divorava con ingordigia i delicati cibi, le deliziose frutta e beveva grande quantità d’acqua zuccherata, essendo il vino proibito sotto pena di morte, secondo i precetti di Maometto: ma pur fingendo di non guardare la giovine persiana, non la perdeva di vista un solo istante. Quell’uomo, sospettoso come lo sono in generale tutti i disgraziati servi orientali, presentiva qualche cosa e stava in guardia, non fidandosi dell’apparente calma della giovanetta.

Quei continui sguardi che si volgevano verso l’alcova, l’agitazione nervosa della giovane, quei sospiri repressi, nulla gli era sfuggito. I suoi sospetti si accrebbero quando si udì nell’alcova un legger rumore che pareva prodotto dalla caduta di qualche vasetto o dallo strofinìo di un vestito di seta.

Rialzò vivamente il capo, lasciando cadere una superba melagrana che stava per addentare.

— Che cos’hai? — gli chiese Fathima, la quale, udito quel rumore, era subito impallidita.

— Hai udito nulla, signora?

— No.

— Mi è sembrato che fosse caduto qualche oggetto nell’alcova.

— Ti sei ingannato.

Aliabad la guardò in viso.

— Ma tu sei pallida — disse.

— È la collera.

— Che vi sia qualcuno nell’alcova?

— E chi mai?

— Hai dormito in questa stanza la scorsa notte?

— Nel mio letto. Ma perchè questa domanda? — chiese Fathima, facendo uno sforzo supremo per non tradire l’angoscia interna.

— Sai che abbiamo visto un ribelle nel giardino?

— Lo so, Aliabad.

— Mi era passato pel capo il sospetto, che il ribelle si fosse nascosto nell’alcova.

— Sei pazzo.

— Hai ragione, signora; tu l’avresti veduto e non sarebbe più sfuggito.

Il servo, forse rassicurato, si rimise a mangiare la melagrana, ma di quando in quando i suoi occhi grigi si fissavano con ostinazione