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70 emilio salgari

— Ed abbandonerai questa casa...

— Senza rimpianti.

— Ma quel vecchio?...

— Non mi ha mai amata, Nadir.

— Ma non è tuo padre dunque costui?

— Mio padre, — diss’ella con un sospiro, — è morto da lunghi anni.

— Ma tua madre?

— Morta anche quella: sono sola sulla terra, come lo sei tu.

— È il destino che ci unisce, Fathima: entrambi siamo soli al mondo.

— È vero, Nadir.

— Ma chi è quel vecchio?

— Lo ignoro.

— Un tuo parente forse?

— Forse, e può essere anche uno straniero, poichè non mi ha mai amata.

— Ma sei cresciuta sempre in questa casa?

— No: rivedo ancora, attraverso i ricordi della mia infanzia, un grande mare dalle onde azzurre, cinto da alte catene di monti dirupati e sterili; vedo ancora delle tende nere, dei cammelli, degli uomini coi grandi turbanti ed i mantelli bianchi. Chi erano? Come si chiamava quel mare? Quale era il nome di quella regione? Io lo ignoro ancora, Nadir.

«Rammento confusamente che un giorno uno stormo di brillanti cavalieri irruppe nel campo e li vedo ancora disperdere le tende sotto l’impeto dei loro indomiti destrieri e sciabolare senza pietà, colle scintillanti scimitarre, quegli uomini coi grandi turbanti, e mi pare di udire ancora il rombare della moschetteria, le urla disperate dei feriti, delle donne, dei fanciulli. Che cosa è accaduto dopo? Mi pare che un velo pesante si stenda sempre fra me e quei lontani ricordi, che non sono capace di sollevare.

«Mi trovai qui, in questo palazzo, servita da una legione di donne e di schiavi, ma non amata. Talvolta l’uomo dalla barba bianca mi veniva a vedere, ma mi parlava con una voce che mi faceva paura, e nel lasciarmi mi diceva sempre: «Se non ci fossi stato io, saresti morta come tutti gli altri». Quale mistero avvolge la mia esistenza? Chi era mio padre? Chi mia madre, che non vidi mai? Io non lo so, Nadir.