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38 | emilio salgari |
Fece altri venti passi e tornò ad arrestarsi, gettando un grido di stupore.
Dinanzi a lui, fra quattro altissimi alberi, rizzavasi un magnifico palazzo di marmo bianco, abbellito da colonne e da arabeschi e sormontato da una cupola che scintillava come se fosse d’oro, sotto gli ultimi raggi del sol morente.
Belle erano le loggie chiuse da leggerissime cortine di seta color di rosa e sostenute da eleganti colonnine di marmo screziato; leggere e finamente scolpite le arcate dei chioschi che giravano attorno, riparate da vetri azzurri; graziosissime le finestre, molte delle quali seminascoste da ingraticolate dorate; meraviglioso il padiglione che, in certo qual modo, difendeva la porta d’entrata, tutto in marmo e porcellana, con una cupoletta sulla cima, e con due ampie fontane d’alabastro ai lati, entro le quali guizzavano pesciolini di mille colori.
Nadir, che non aveva visto che le cadenti torri della sua montagna, dinanzi a quel palazzo — vero capolavoro dell’architettura persiana, erasi arrestato col più vivo stupore dipinto sul volto.
— Dove sono io? — si chiese per due volte. — Chi abita questo luogo? È il giorno delle sorprese questo? Ah! Se Mirza lo vedesse!
Ad un tratto si rammentò del colloquio udito dietro le mura del giardino.
— Guardo e non penso che degli uomini si preparano ad uccidermi — mormorò. — Forse là vi è la salvezza.
Tese l’orecchio. Nel palazzo s’udivano di quando in quando degli scrosci di risa argentine e s’udivano ancora, ma più distinti, i delicati suoni della mandola.
Guardò sulle logge e sotto i chioschi, sulle finestre e sotto il padiglione: non vide alcun soldato e nessuna testa di donna. Prese rapidamente il suo partito.
Attraversò in pochi salti la distanza, s’aggrappò alle colonnine del padiglione, ed aiutandosi colle mani e coi piedi giunse alla cupoletta, aggrappandosi all’asta di ferro che sorgeva nel mezzo. Tutto ciò lo eseguì in meno tempo di quello che occorra a descriverlo. Si guardò allora all’intorno, indi alzò la testa, e con inesprimibile gioia vide una finestrina alta forse tre metri.
— Se riesco a guadagnare il davanzale, sono salvo — mormorò.
Si alzò quanto era lungo, ma l’altezza era troppa. Allora si raccolse su se stesso, come fa la tigre quando slanciasi sulla preda, e spiccò