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il re della montagna 27


Erano sette uomini, che dalle vesti sembravano montanari, capitanati da un giovane di aspetto fiero, malgrado avesse i baffi appena nascenti, e vestito come un principe.

Trovata aperta la porta orientale, si erano inoltrati senza esitare sotto il torrione difeso da parecchi pezzi d’artiglieria; erano passati dinanzi alle guardie gettando su di loro uno sguardo sprezzante ed ora galoppavano verso la piazza di Meidam senza curarsi dei radi passanti che li guardavano con curiosità.

Giunti sulla piazza, il giovane capo trattenne il cavallo, ed i suoi grandi occhi neri, che scintillavano come diamanti, si fissarono ardentemente sul palazzo reale, senza più staccarli.

Un vivo rossore gli si era sparso sulle gote ed il robusto petto gli si sollevava impetuosamente. Si avrebbe giurato che il suo cuore, in quel momento, batteva forte forte.

— Quanto splendore qui — mormorò. — E Mirza non voleva che qui discendessi ad ammirare tale meraviglia!... È vero che la montagna è bella, ma questa città è più bella!... È strano!... Cos’è questa emozione che mi prende? Perchè il sangue mi scorre più rapido nelle vene, nel mirare quel palazzo?... Perchè mi sento prendere da un ardente desiderio di lanciarmi sotto quelle porte?...

Si volse verso i cavalieri che stavano fermi dietro di lui e chiese con una certa emozione:

— Chi abita quel meraviglioso palazzo, Irak?

— Lo sciàh — rispose il montanaro.

— Il re, — mormorò Nadir, poichè era proprio lui.

Stette alcuni istanti silenzioso, contemplando sempre quella superba costruzione, poi chiese:

— È su questa piazza che giustizieranno Harum?

— Guarda laggiù, Re della Montagna. Non vedi tu un palco e sopra di esso un grosso cannone?

— Sì — disse Nadir che aveva scorto all’estremità della piazza un grande palco, in mezzo al quale, colla bocca in alto, stava un lungo pezzo d’artiglieria, una specie di colubrina.

— Quello è l’istrumento di morte.

— Mi avevano detto che il re faceva impalare i condannati.

— È vero, ma spesso preferisce farli legare alla bocca d’un cannone già carico, per veder saltare in aria le membra fracassate del condannato.