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emilio salgari | 21 |
— Sì, ma Harum non fu fortunato. Trenta o quaranta guardie del re che erano presenti all’alterco si gettarono su di lui e lo arrestarono, malgrado la sua disperata resistenza.
— È prigioniero! — esclamò Nadir con dolore.
— Sì, e domani al tramonto lo si giustizierà sulla piazza di Meidam.
— Sei certo di questo?
— Certissimo, Nadir, ed è per questo che sfidai l’uragano e qui venni.
— Che vuoi adunque?
— Nadir, i fratelli della Montagna hanno giurato di salvarlo e chiedono l’aiuto del potente tuo braccio.
— Il mio aiuto!... — esclamò Nadir. — Ma io non sono mai disceso a Teheran.
— Che importa? Non sei tu il più temerario dei fratelli? Non sei tu il più agile ed il più forte? Re della Montagna, i fratelli chiedono il tuo aiuto.
— Ma Mirza non vuole che io vada a Teheran.
— Mirza è un fratello della Montagna e non può lasciar perire un altro fratello.
— Quanti uomini verranno con noi? — chiese Nadir.
— Duecento ci aspettano in città.
— Sono pochi.
— Calcoliamo sui curdi, e tu sai che essi sono molti.
— Quando dovremo partire?
— Questa notte istessa. A Demavend ci aspettano due rapidissimi cavalli, due figli del deserto.
— Attendimi un istante.
Nadir mise a terra il lume e rientrò nel salotto. Mirza, vedendolo, lasciò il camino muovendogli incontro.
— Mirza, amico mio, — disse Nadir, — io parto.
— Tu parti! — esclamò il vecchio con terrore. — E per dove?
— Per Teheran. Il destino mi spinge.
Mirza lo guardò con ispavento. Per alcuni istanti egli non fu nemmeno capace di articolare sillaba.
— Per Teheran — balbettò alfine. — Tu a Teheran!...
— Mirza, è necessario che mi vi rechi. Un fratello della Montagna è in pericolo.