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il re della montagna | 207 |
Mirza, Harum e ventitrè fidi amici, risoluti anche a farsi uccidere per me, e attorno al castello milleduecento cavalieri pronti a dare l’assalto.
— Ma all’alba le truppe del Masen-Deran saranno qui! — esclamò ella con angoscia.
— Giungeranno troppo tardi.
— Sono molte, Nadir. Si parla di diecimila uomini.
— Li disperderemo; e poi... all’alba l’usurpatore sarà morto.
Fathima lo prese per una mano e lo trasse verso la finestra. Ella gli additò l’orizzonte orientale, che si tingeva dei primi riflessi dell’aurora.
— Fra pochi minuti le truppe saranno qui — disse ella. — I corrieri del re, giunti ieri sera, le avevano incontrate a sedici miglia dai monti.
— Quando giungeranno, la rocca sarà in nostra mano. Una parola ancora, Fathima. L’adge si è compiuto?
— No, mio Nadir. Lo sciàh aspettava prima le truppe.
— Allah sia ringraziato. Domani tu sarai...
S’interruppe bruscamente, curvandosi innanzi come se ascoltasse.
— Qualcuno si avvicina — mormorò.
Aveva appena pronunciate queste parole, che la porta della stanza improvvisamente si aprì ed un uomo semi-vestito, tenendo in pugno una scimitarra la cui impugnatura scintillava come se fosse tutta coperta di diamanti, si precipitò verso Nadir, gridando:
— Ah! Traditore!
La giovinetta emise un urlo acuto.
— Lo sciàh! — esclamò.
Nadir, abbandonata la fanciulla, aveva estratto rapidamente il kandjar, tuonando:
— Assassino de’ miei genitori! Ti tengo finalmente!
Un uomo però, più rapido del lampo, si scagliò come una tigre fra i due rivali...
— Lo sciàh è mio! — gridò. Era Harum.
La sua destra, armata di un acuto pugnale, era scesa fulminea, e la lama penetrata intera nel cuore dell’usurpatore1.
- ↑ Storico.