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206 emilio salgari

— Qui, sul mio cuore, mio raggio di sole! — esclamò.

— Grande Hussein! — mormorò ella piangendo e ridendo ad un tempo. — Fa che non sia soltanto un dolce sogno.

— No, Fathima adorata, no, mio vago fiore di Teheran, non è un sogno: sei fra le braccia del tuo Nadir, che tanto ti ama e che ti ha tanto pianta!...

— Ma sei vivo ancora?

— Sì, Fathima, sono vivo, e tanto potente da far oggi tremare, con un solo gesto, la Persia intera.

— Ah! No, no! È un sogno! — esclamò ella. — Tanta felicità sarebbe troppa!...

— Sono il tuo leale Nadir, adorata fanciulla — disse il giovane sciàh.

— Ma come sei qui, mio valoroso Nadir? — chiese ella, aggrappandosi al suo collo. — Ma non ti hanno ucciso adunque, quella notte fatale che mi strapparono al tuo fianco? Ti ho veduto cadere... Ah!... Che orribil notte!... Ed ho veduto un uomo colpirti nel petto... Nadir!... Mio Nadir, non lasciarmi più... più!...

— No, non ti lascerò più, Fathima, e sarai mia e per sempre. I traditori sono stati uccisi o dispersi, ed oggi Teheran, la capitale della Persia, ed il palazzo reale sono miei.

— Teheran tua! — esclamò ella.

— Sì, Fathima, Teheran è nostra.

— Ma che hai fatto tu adunque?

— Ho pugnato ed ho vinto.

— Ma tu sei...?

— Non più il Re della Montagna, ma Nadir sciàh!

Ella si svincolò da lui esclamando:

— Il mio signore!...

— No, Fathima, il tuo fidanzato, e noi saliremo assieme sul trono di mio padre.

— Nadir!... È troppa gioia!...

Poi fece un gesto di spavento e il suo volto impallidì.

— Disgraziato!... — mormorò. — Ma non sai che qui vi è l’usurpatore?... Se ti sorprendesse?

— Non lo temo più — rispose Nadir con fierezza.

— Non sei solo?

— Là — disse il giovane sciàh indicandole l’apertura, — vi sono