Pagina:Salgari - Il re della montagna.djvu/199

Cap. XIX.

Nadir e Fathima


Fuori dalla porta d’oriente, i khan dei Curdi, delle tribù militari e dei Kadjars avevano radunato i loro cavalieri, i quali altro non chiedevano che di precipitarsi sulle truppe del Masenderan, che dovevano essere in marcia verso la capitale. Inebbriati dalla prima vittoria, elettrizzati dall’ardita figura del giovane sciàh di cui avevano ormai abbracciata con entusiasmo la causa, erano pronti a guadagnare la seconda battaglia ed a fiaccare per sempre la baldanza dell’usurpatore.

Quando videro giungere il giovane sovrano, seguito dal suo fedele Mirza, dal begler-beg e da Harum, che guidava i prodi montanari, un urlo immenso echeggiò tra le file di quei milleduecento cavalieri:

— Viva lo sciàh!... Morte a Mehemet!...

Nadir, Mirza ed i capi tribù tennero un breve consiglio, per scegliere la via che doveano prendere. S’accordarono per dirigersi verso la catena degli Elbours, monti che dividono la provincia di Teheran da quella di Masenderan.

Il begler-beg sapeva che fra quelle gole si trovava un kala-i-espid, ossia una fortezza inaccessibile, che un tempo era stata sua, e riteneva, con maggior probabilità, che lo sciàh si fosse diretto lassù, per attendere le truppe.

Nadir, senza perdere tempo, diede il segnale della partenza, e gli squadroni curdi, kadjars e delle tribù militari e quello dei montanari partirono, ventre a terra, attraverso la pianura di Sultanièh.