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il re della montagna 195

guardie, assalite da ogni parte, sciabolate di fronte, moschettate a destra, a sinistra e dall’alto, si difendevano con disperato valore; ma non si potevano reggere a lungo.

I khan, i servi della corte e le guardie di polizia, che avevano sostenuto il primo urto, giacevano sulle pietre della piazza, inondata di sangue, ed ora cadevano i soldati a drappelli. I cavalieri Kechikdji, che si dice siano i più fidati e che scortano gli sciàh, e le ghoulam, ossia le guardie del corpo a cavallo, dopo di aver tentato tre cariche disperate, erano stati quasi tutti distrutti, ed i loro cavalli, sventrati dai kandjar dei montanari o dai kard acuti dei curdi o dalle picche delle tribù militari, rantolavano addossati ai porticati o si trascinavano penosamente per la piazza.

Ogni resistenza ormai era inutile: la presa del palazzo reale era questione di minuti. Nadir, Mirza, il begler-beg ed i khan rovesciavano addosso alle truppe reali i loro seguaci, i quali, se respinti, tornavano alla carica con maggior lena, decisi a finirla coi difensori dello sciàh.

I quattro corpi, radunatisi, irruppero un’ultima volta contro il palazzo reale, coi kandjar alzati.

Quell’assalto irresistibile fu decisivo, le guardie reali, già decimate, sciabolate, moschettate, non ressero a quel poderoso urto e si sbandarono in tutte le direzioni, cercando di raggiungere le vie che conducevano alle porte della città.

Riunitesi in fondo alla piazza, s’aprirono il passo attraverso le linee dei Curdi ed in numero di quattromila si diressero correndo verso la porta orientale, perseguitati dagli abitanti, che sparavano addosso a loro dalle finestre e rovesciavano sulle loro teste le mobilie delle case.

Nadir, Mirza, il begler-beg ed i khan s’affrettarono ad entrare nel palazzo reale, le cui porte erano già state sfondate. Harum ed una cinquantina di montanari li seguivano, per difenderli nel caso d’un tradimento.

Gli ampi scaloni che conducevano nelle stanze reali erano ancora illuminati, ma nessuna guardia vegliava e nessun rumore si udiva nei piani superiori.

Quel silenzio strano che regnava nell’immenso palazzo, mentre avrebbero dovuto echeggiare dovunque grida di terrore o di collera e detonazioni, fece una tremenda impressione su Nadir.

— Mirza! — esclamò. — La mia Fathima non v’è più, il cuore me lo dice.