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il re della montagna | 167 |
Furono tosto interrogati dal vecchio, il quale temeva che delle guardie del re si aggirassero ancora nei dintorni del castello; ma nulla avevano veduto di sospetto. Le truppe erano discese nella pianura, e le avevano scorte, all’alba, entrare in Teheran; sul luogo ove sorgevano le vecchie torri non vi erano che dei cumuli immensi di macerie, che ancora bruciavano.
Apprendendo che Nadir era vivo ancora, la gioia di quei prodi montanari fu immensa, e, temendo che le truppe del re tentassero un altro colpo di mano, si scaglionarono fra le rocce della grande montagna, vegliando attentamente tutta la notte, insensibili ai venti gelati della zona nevosa ed ai dolori delle loro ferite.
L’indomani nuovi drappelli di montanari salirono alla povera capanna di Harum. La notizia della distruzione del castello, dell’assalto delle truppe del re, del rapimento della fanciulla amata dal giovane Nadir si era sparsa per la montagna, ed i cacciatori ed i banditi accorrevano dalle vallate inferiori, dai picchi elevati, dalla catena degli Albours e da quella del Taberistan, per vegliare sul ferito. La voce che quel giovanotto era di sangue reale e che avrebbe dovuto sedere sul trono degli sciàh persiani, si era diffusa, e tutti accorrevano a schierarsi sotto le sue bandiere e per impedire da parte dell’usurpatore e dei traditori un nuovo delitto.
Ormai il Demavend era diventato inespugnabile. Quattrocento montanari, rotti a tutte le fatiche, prodi, risoluti anche a farsi uccidere pel loro giovane re, si erano sparsi per i suoi fianchi, occupando le fitte boscaglie, sorvegliando le gole ed i sentieri, impedendo il passo a tutti. Pratici come erano dei luoghi, ci sarebbe voluto un esercito per snidarli.
Taluni più arditi si erano spinti fino ai piedi della montagna e di là sorvegliavano i villaggi di Demavend, di Ask e di Karù, acciocchè nessun soldato potesse appressarsi, nessuna spia salire. Si poteva dire che una rete di acciaio e di fuoco avvolgeva la montagna intera dalle più alte vette alla base.
La guarigione di Nadir intanto, potentemente aiutata dal miracoloso farmaco di Mirza, procedeva speditamente; la ferita, più dolorosa che pericolosa, quantunque così estesa, si rimarginava con rapidità incredibile. Ma lo sventurato giovanotto non pareva che per questo fosse soddisfatto. Non parlava mai, non mormorava più il nome della sua Fathima, sorrideva tristamente al vecchio Mirza e ad