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che si tingeva di azzurro, con dei riflessi madreperlacei, indicava il mar Caspio.

Il vecchio Mirza crollò il capo, tergendosi due lagrime che gli rotolavano giù per le gote, e mormorò:

— Povera fanciulla!... Mio povero Nadir!... Quale terribile colpo per entrambi!...

— Entriamo, vecchio amico — disse Harum. — Mi pare che Nadir torni in sè.

— Dio sia ringraziato — disse Mirza. — Speriamo di salvarlo.

Entrarono nel tugurio. Era una specie di capanna costruita con tronchi d’albero, portati lassù chissà con quante fatiche, a due tetti pioventi coperti di foglie e di enormi sassi, perchè potessero resistere ai furiosi venti della montagna.

Nell’interno vi erano due vecchi divani, delle pelli di onagro, delle corna di egagro, alcuni falchi incappucciati posati su dei bastoni e trattenuti da catenelle d’acciaio, adoperati per le cacce degli uccelli; un moschettone ed alcuni kandjar.

I due montanari deposero con infinite precauzioni Nadir su uno dei due divani, poi, accesa una lampada, lo esaminarono con ansietà. Il giovane Re della Montagna respirava ancora; ma il suo viso era pallido come quello d’un morto, i suoi occhi infossati, i suoi lineamenti alterati da un dolore intenso. La sua splendida giubba di broccato era lorda di sangue, e così pure i suoi calzoni di seta e la larga fascia che cingevagli i fianchi.

Mirza gli tolse le fasce che coprivano il petto, e che gli aveva messe durante la salita della montagna per arrestargli il sangue, e mise allo scoperto la ferita.

Era orribile: la larga sciabola del cavaliere del re, dopo di essersi arrestata sulle robuste costole del giovane montanaro, aveva squarciato il petto in senso verticale per una lunghezza di venti centimetri. Il sangue, non più frenato, subito zampillò con gran violenza, fuggendo sotto la camicia di seta del ferito.

— Dammi un po’ d’acqua – disse il vecchio ad Harum.

Il montanaro gli porse una tazza ed un pezzo di seta strappato dalla camicia del giovanotto. Mirza lavò accuratamente la ferita, ricongiunse con mano abile le carni squarciate, poi frugò nella cintola e levò un astuccio d’oro, adorno di zaffiri.

— Che cosa fai? — gli chiese Harum.